NEW YORK – Alla fine ha vinto Novak. Come a Wimbledon nello scorso mese di luglio ha battuto Roger Federer nell’ennesima finale Slam giocata dai due campioni. Il risultato ha evidenziato la maggior freschezza atletica del serbo pur continuando a mostrare la grandissima qualità tecnica ed agonistica del giocatore svizzero capace di creare numerose opportunità di rimonta nel corso del match, in barba ai suoi 34 anni suonati.
L’incontro conclusivo del torneo è stato intenso pur avendo evidenziato qualche errore di troppo. Federer ha avuto ben 23 palle break nel totale del confronto ma ne ha realizzate solo 4. Ma dall’altra parte della rete c’era Novak Djokovic. Un tennista dal carattere d’acciaio e con una rapidità d’azione unica. L’equilibrio iniziale della partita si è rotto già nel primo set perso da Federer. Un parziale che non avrebbe mai dovuto cedere e si è visto fin dal primo game qual’era il tennista che intendeva guidare le danze. Aver fatto proprio il secondo set grazie a qualche invenzione straordinaria tirata fuori dal suo cappello a cilindro ha allungato i tempi, ma a sfavore del tennista di Basilea e la prospettiva di un match lungo ben oltre le tre, quattro di gioco sarebbe diventato un monte da scalare troppo elevato.
L’atletismo di Djokovic è stato il valore aggiunto che ha spostato l’ago della bilancia. La statistica evidenzia la quantità di errori gratuiti di Roger con un saldo negativo dalla parte del diritto, il colpo con cui solitamente riesce a dominare molti scambi e a costruire i punti. Altrettanto interessante è verificare come tante palle break prodotte dallo svizzero siano state poi vanificate proprio da diritti fuori misura o cacciati in rete, errori in parte giustificati dai rischi che Roger si stava prendendo nel tentativo di accorciare gli scambi.
Nel palleggio da fondo campo il serbo è difficilmente battibile. Sa imprimere alla palla rotazioni e pesantezza da autentico numero 1 al mondo quale è, e soprattutto corre sul campo come una gazzella, raggiungendo ogni genere di traiettoria impressa dagli avversari. È evidente che Federer sentiva la pressione di dover creare sempre qualcosa di inaspettato e imprevedibile per vincere i punti ma contro questo Mister Fantastic “l’uomo di gomma” capace di recuperi impossibili era necessario accorciare i tempi dei palleggi, cercare il net con insistenza e correre tanti rischi. Come è stato.
Novak Djokovic è un grandissimo campione e ha meritato questo nuovo successo in una prova Major, alla faccia dei 26.000 spettatori presenti nel gigantesco catino da tennis di New York che ad un certo momento della partita hanno cominciato a tifargli a sfavore con un atteggiamento al limite del “gufaggio”, quasi invocando le divinità tennistiche – Gianni Brera se avessimo parlato di calcio avrebbe citato Eupalla, il dio del pallone – a deviare il corso del match esclusivamente verso la possibile rimonta e vittoria di Federer.
Il fascino dello svizzero è tale che ogni poltroncina aveva trasformato in quel momento il legittimo proprietario in un ultras federiano sfegatato. L’inizio della rimonta di Federer nel quarto set da 2-5 fino a 4-5 e 40-15 per un soffio non ha realizzato i sogni degli spettatori. C’era un desiderio del pubblico di voler rendere quell’attimo leggendario conferendo a Federer il ruolo di leggenda intramontabile visto e considerato quante emozioni abbia regalato agli appassionati negli ultimi 15 anni. È il desiderio atavico d’ogni individuo di voler fermare il tempo diventando eterni. Vana speranza che solo lo sport – ogni tanto – illude di poter realizzare. (999)