Il tennis, la teoria del caos e l’invasione italo normanna dello Us Open

Stabilire connessioni è un ruolo della fantasia. Accertarne la fondatezza è un lavoro di razionalità che screma le ipotesi più improbabili lasciando quelle più affidabili. L’arte si colloca in un sottile elemento di mezzo, di passaggio, in quel confine labile a tre, fra fantasia probabile, realtà e sogno. Un luogo in cui la veridicità si confonde con l’immaginazione, dove l’illusione vive di certezze e il passaggio verso la concretezza rimane sempre aperto. Non è semplice fare arte per mezzo della scienza, ancora più difficoltoso è stimolare la scienza per mezzo di un’opera artistica, ma questo luogo dai confini evanescenti è l’ambiente più piacevole della mente dell’uomo: stimola il progresso, alimenta speranze, promuove soddisfazioni.
Erano questi i pensieri, non immediati, che sono affiorati quando la giornata di ieri ha regalato al tennis italiano la più grande soddisfazione che si potesse immaginare. Con le due tenniste pugliesi, Flavia Pennetta e Roberta Vinci, che hanno raggiunto la finale dello Us Open, dopo aver sconfitto rispettivamente la numero uno e la numero due del tabellone: la grande favorita Serana Williams e Simona Halep.
Stabilire connessioni è infatti anche un ruolo della spiegazione. Non possiamo comprendere il mondo senza stabilire connessioni. Nessi, collegamenti, legami, attinenze, interdipendenze sono essenziali ai fini dell’intellegibilità degli avvenimenti. In questo modo se un sogno è spiegabile diviene prevedibile, condizione che consente di evolvere il sogno stesso in obiettivo raggiungibile da cui ricavare soddisfazioni, una volta raggiunto.
La storia, la geografia, la matematica, la fisica, un po’ di biologia e genetica, evoluzione, la teoria del caos e il tennis con la sua tecnica e preparazione fisica di cui scrivono molto bene già i miei numerosi colleghi (i quali mi consentono indirettamente di scrivere di altre cose) si uniscono in una visione d’insieme, sistemica. Così si chiude il cerchio hegeliano: “Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale.” Se non altro ciò che è reale è spiegabile razionalmente e ciò che è razionale può divenire, in determinate condizioni, realtà (così togliamo l’idealismo a Hegel e lo rendiamo un po’ più immanente).
La finale tutta italiana dello Us Open 2015 è un sogno realizzabile, perché ormai è realizzato, ma è anche comprensibile. Per capirlo però non si può prescindere dalle connessioni e mettersi in gioco per vedere se resistono al vaglio della critica.
Non accontentiamoci pensiamo l’impossibile. E per farlo cerchiamo di unire i puntini come suggeriva Steve Jobs agli studenti di Standford. Solo così potremmo ipotizzare cosa c’entrino i normanni con le tenniste italiane in finale allo Us Open.
Il viaggio inizia con un piccolo vantaggio al momento dell’impatto, un problema di fisica facilmente risolvibile. Il secondo passo ci spinge a chiederci se e quali individui posseggano naturalmente le caratteristiche che conferiscono questo guadagno e se ci sono degli indicatori che permettono di scoprirne la presenza quasi a prima vista. La terza domanda è quella di chiedersi se questi connotati passano di generazione in generazione, se la risposta fosse sì, come sembrerebbe, non rimarrebbe che seguire storicamente e geograficamente gli spostamenti delle popolazioni che detengono certe peculiarità.
Il viaggio ci porta non proprio direttamente allo Us Open, ma se tutto sembra caotico e confuso le chiavi interpretative e le loro connessioni lo rendono più semplice di quanto sembra. Mettono ordine nel caos. Dal nord Europa si scende insieme ai normanni nel sud Italia (XI e XII secolo): in Sicilia, Puglia, Calabria e parte della Campania. Per ragioni di recupero di una funzione adattiva per finalità diverse in ambienti diversi si arriva a New York, passando per i campi da tennis, il nostro nuovo ambiente di riferimento. Nemmeno pochi campi da tennis, molti campi da tennis, un grande viaggio. Dalla sintetizzazione della vitamina D a un arto più robusto (una soluzione evolutiva per contrastare il rachitismo alle alte latitudini) a un impatto più vigoroso ecco che anche i normanni, dopo secoli, arrivano sul’ Arthur Ashe Stadium. Ma non da soli: ibridati con le italiane.
In realtà i normanni c’erano già arrivati con Don Budge, Rod Laver, John McEnroe, Jim Curier, Andy Murray, Boris Becker, ma questa è un’altra storia di cui ho già scritto. Perciò non rimane che goderci la finale tutta Italia in questo mondo interculturale e già senza confini.
Vi sembra impossibile? No, no, credetemi. Stasera la finale dello Us Open è tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci, entrambe pugliesi. E’ stato sufficiente unire i puntini. (1049)

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