Presi dal vortice emotivo dell’emozionante partita che si è svolta al Roland Garros, sul centrale Philippe Chatrier, si potrebbe essere indotti a pensare che lo svizzero abbia vinto la finale di Parigi. Addirittura si rischia di credere al punteggio che lo indica vincitore per 4-6, 6-4, 6-3, 6-4. A volte però è opportuno non cedere all’illusione della realtà. Per coloro che non vogliono abdicare alle proprie capacità critiche collegate a quelle razionali è opportuno rimanere con i piedi per terra e analizzare la partita. La partita del fallimento di Wawrinka. Dobbiamo essere scettici e non credere immediatamente a quello che vediamo davanti un teleschermo che indica un punteggio finale. In questo modo potremmo finire per credere alle promesse di qualunque politico.
Nel primo set lo svizzero ha stentato ad entrare in partita. Il rovescio ad una mano, spesso colpito con il peso del corpo leggermente indietro, usciva lungo e Djokovic imponeva il suo gioco senza chiedere troppo alle proprie energie. Sul finale della prima partita Stanislas ha addirittura avuto una palla per effettuare il contro break. Ma lo spreco è avvenuto nel secondo set dove praticamente Wawrinka ha avuto una palla break su ogni turno di servizio di Djokovic senza riuscire a trasformarne una se non quella decisiva che gli ha permesso di vincere il secondo set. Poteva fare meglio, poteva fare molto meglio, addirittura poteva imporsi nel secondo con un vantaggio di due break.
Non è stato da meno, nelle sue imperfezioni, anche nel terzo set, quando per diverse volte ha sbagliato direzione nel colpire la palla in punti che erano praticamente vinti. Anche il telecronista austriaco ha esclamato”alleluia” quando finalmente lo svizzero ha colpito nella direzione giusta: dove non era Djokovic.
Ci sono da aggiungere almeno un paio di volée sbagliate e qualche colpo lungolinea colpito eccessivamente in ritardo e che è finito in corridoio, di molti centimetri. Forse non esagero nello scrivere che anche il terzo set poteva finire con maggiore vantaggio a favore dello svizzero.
Nel quarto, è vero che tutti siamo umani, ma ha avuto un calo in avvio, la cui conseguenza è stata quella di subire subito il break e dover recuperare. Inoltre, per essere precisi, è riuscito anche a sciupare un match point. Fatte queste semplici considerazioni si è portati a pensare che la finale poteva terminare, in modo molto più monotono, in tre set addirittura, e con un punteggio decisamente a favore dello svizzero, piuttosto che in questa plateale sconfitta.
È il tatuaggio sul braccio sinistro di Wawrinka che richiama lo spirito di razionalità: “ho sempre provato, ho sempre fallito, non importa. Riproverò, fallirò meglio.”
La frase è di Samuel Beckett e forse si confonde con quella dell’astuto Dostoevskij, che amava illudere le persone con la bellezza. Ancora oggi ingenui primi ministri italiani ripetono la frase del russo sperando che qualche bellezza salvi qualcosa, ingenuamente.
Al contrario la sconfitta di Wawrinka al Roland Garros potrebbe stimolare la curiosità di qualcuno verso il teatro dell’assurdo: dove i favoriti perdono, molti aspettano una rivalsa, un dio, una speranza, una vittoria, un Godot. Dove un mondo rovesciato, assurdo, rispecchia in modo imprevisto la realtà. Dove l’improbabile è probabile e dove a volte accadono avvenimenti che nessuno poteva sospettare. Qual è la realtà del teatro dell’assurdo? È quella del favorito che vince? O quella opposta in cui accade qualcosa di imprevisto. Forse è entrambe le cose. Se la sorpresa non facesse parte della vita la vita stessa, senza l’assurdo, sarebbe meno piacevole, meno realistica.
In questo mondo rovesciato in cui Wawrinka ha perso la finale del Roland Garros da favorito, non ci rimane che augurargli buona fortuna per la prossima volta. Sicuramente può fare meglio. Può fallire meglio.
«Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better» Samuel Beckett (1376)