Nick Bollettieri si è spento all’età di 91 anni. Grande coach e avendo avuto l’onore di conoscerlo personalmente grande persona.
Vi riproponiamo articolo scritto 7 anni fa in occasione della presentazione del suo libro “Cambiare gioco”
“Il guru del tennis”: per uno che ha allenato dieci giocatori che sono stati numero 1 del mondo e che, complessivamente, hanno vinto 147 Grandi slam mai definizione potrebbe sembrare più appropriata. Anche perché per lui il tennis é stata una vera e propria filosofia di vita e oggi, a 84 anni, sembra avere l’entusiasmo degli inizi.
Non a caso, come sottolinea la sua agente IMG Fiorella Bonfanti, l’agenda da qui a fine estate ha già fatto registrare il “tutto esaurito”.
Tra tutti questi impegni Nick Bollettieri, il personaggio di cui stiamo parlando, ha fatto tappa per due giorni nella nostra città ospite del Ct Vicenza. Una giornata in campo con ragazzi e adulti e, la domenica, la presentazione del suo libro già nella versione italiana e che presto verrà tradotto in altre lingue “Cambiare il gioco”.
La serata é stata l’occasione per parlare di tennis a 360 gradi in un botta e risposta che ha affascinato gli appassionati che non erano voluti mancare all’appuntamento. Per ognuno ha pensato una dedica personalizzata nella copia che gli veniva fatta autografare e poi si é concesso con una simpatia che non tradisce le origini italiane o, meglio, campane (De Fillipo il cognome da parte di madre). Non a caso ogni anno torna in vacanza a Capri e, quando fa una battuta, gli esce qualche espressione nostrana, come quando scherza sulle sue otto mogli (e sette figli, di cui gli ultimi due adottati): “Per questo non ho soldi”.
E proprio dal gentil sesso parte questa intervista sicuramente non banale:
Considerando che ha avuto giocatrici come Sharapova o Ivanovic la domanda sorge spontanea: le sceglie per la bellezza?
“In realtà per un mix di cose e, soprattutto, le scelgo per quello che hanno dentro. Certo, guardo il talento, anche se questo da solo non basta. Basti pensare al caso di Marcello Rios, che é stato probabilmente uno dei giocatori più dotati che io abbia mai avuto e che, invece, per il suo carattere e la voglia di non sacrificarsi é stato n. 1 del mondo soltanto per due settimane”
Il fatto di essere laureato in filosofia le é servito nella vita?
“La filosofia, passatemi il termine, é raccontare tante cretinate. Però poi le devi mettere in magazzino ed il risultato é quello di far parlare di te. Le azioni, però, sono più importanti delle parole. Ad esempio io spendo tanto del mio tempo nel volontariato a favore dei bambini poveri in un programma iniziato ancora nel1987 con il compianto Arthur Ashe e che ha dato la possibilità a tanti giovani di studiare e di fare sport anche se non ne avevano i mezzi. La nostra finalità era quella di dare a tutti un’opportunità”.
Ma come si fa ad arrivare un numero uno?
“Per essere il n. 1 nel tuo campo devi dimostrare quello che gli altri dicono che non potresti fare. La maggior parte delle persone, infatti, ha paura solo di provarci. Sbagliare invece fa parte della vita: se non commetti degli errori non ti metterai mai alla prova e non importa quello che diranno gli altri. Mio padre mi ripeteva: se non sei nessuno nessuno parlerá di te. Io sono cresciuto in un quartiere nero vicino a New York. Vicino a casa mia c’era una bella casa con un albero di ciliegio nel giardino. I miei amici si limitavano a raccogliere le ciliegie che erano cadute mentre io mi arrampicavo per prenderle. Ecco, questo sono io”.
– Ma quanto conta il risultato nella vita come nel tennis?
“Quando ero un ragazzino tornavo a casa e la nonna mi diceva: ‘Hai fatto quello che ti ha detto l’insegnante?’ Se le rispondevo di sí mi lasciava andar fuori a giocare. Oggi, invece, la prima cosa che i genitori chiedono ai loro figli e se hanno vinto e questo non va bene. Non importa il risultato: se si sono impegnati sono vincenti lo stesso”.
Il discorso si sposta poi più prettamente sui campioni e sulla finale vinta domenica scorsa da Andy Murray a Madrid contro Rafa Nadal: “Murray colpisce sulla riga di fondo e per questo la sua palla é piu veloce. Al contrario Nadal, che un volta vinceva la maggior parte degli scambi sulla distanza, non si muove nella stessa maniera di un tempo. Resta un grande campione, ma non é più lo stesso anche se la riprova la si avrá soltanto dopo il Roland Nadal Garros come chiamo io il torneo parigino”.
– Un consiglio per un ragazzino che gioca a tennis?
“La cosa più importante é che abbia successo in quello che fa. Non bisogna mai dire che che ha sbagliato, bensí che lo puó fare meglio. Un maestro può cambiare la personalità di un bambino, nel bene e soprattutto nel male, togliendo la fiducia in se stesso.”
E uno per i maestri?
“I maestri devono sapere che non esistono ragazzi uguali: ognuno ha una sua personalità, una famiglia alle spalle e tante altre componenti che giocano un ruolo importantissimo. Inoltre é fondamentale non bruciare le tappe. All’inizio la tecnica é più importante delle vittorie. Il tennis di oggi é tecnico, fisico e mentale. Se non sei fisicamente forte prendi delle decisioni sbagliate e questo alla fine compromette il risultato. Io so chi sono, ma non sarò mai soddisfatto anche se la scorsa estate ho ricevuto l’ international Hall of fame e ho avuto tante gratificazioni. Agassi ha detto che se non fosse stato per me non sarebbe mai arrivato ad essere il n.1 ed anche John McEnroe, che in precedenza aveva sollevato perplessità sul mio operato, é arrivato ad ammettere: ‘Quest’uomo senza conoscenza del tennis ha cambiato il nostro sport’. Ecco, forse detengo il titolo di coach più pazzo del mondo, però in ogni cosa che faccio mi diverto. Mi sono sempre buttato nelle sfide senza pensarci. Sono positivo di carattere e, quando la sera vado a letto, cerco di dire a me stesso la verità. In questo modo il giorno dopo potró fare molto meglio. Nella vita si hanno sempre due scelte: raccontarsi delle bugie o cercare di crescere”.
A proposito di crescita, avrebbe mai pensato vedendola da ragazzina che Sara Errani sarebbe entrata tra le top 10 del mondo?
“Sinceramente era difficile pronosticarlo, però Sara pensa e si muove bene e cosí ha impostato la sua carriera pur in un tennis di oggi che é fatto di giganti. Tra le donne basta pensare alle Williams, alla Sharapova, alla Azarenka. Errani é l’eccezione anche se il nostro é uno sport di movimento: più corri e meglio colpisci”.
Sul libro del papá di Agassi ha qualcosa da dire?
“Semplicemente non l’ho letto e vorrei ricordare che oltre ad André all’accademia avevo preso anche sua sorella. Non ho niente da rispondergli se non che, se non ci fossi stato io, la vita di suo figlio ed anche la sua sarebbero state ben differenti ed avrebbe dovuto lavorare per vivere”.
Nadal ha la possibilità di vincere come Federer?
“No. Federer gioca come un… ballerino mentre Nadal in campo fa fatica, corre, salta, lotta su ogni palla. Sono due differenti campioni e diverso é il modo di allenarli”.
Nadal o Djokovic: chi é il migliore dei due?
“Con entrambi mi sarebbe piacere lavorare. Djokovic per me é il giocatore perfetto in quanto ha tutti i colpi e si muove in campo in una maniera incredibile”.
L’importanza del secondo servizio?
“Personalmente giudico i top player proprio dalla loro seconda palla di servizio: Isner e Raonic ad esempio sono straordinari. E’ un grande vantaggio avere le loro varianti di servizio. Basta tenere il turno di battuta e poi andare al tie-break dove tutto può succedere. Anche il servizio slice di Federer é ottimo. Adesso che ha cambiato racchetta e sta più vicino alla linea di fondo puó giocare un serve and volley davvero efficace”.
Un pronostico: dei giovani di oggi chi può diventare un grande campione?
“E’ difficile fare delle previsioni: di certo oggi non é più come in passato quando potevi vincere un grande torneo a 17-18 anni. Gl sponsor vogliono subito i risultati, invece bisogna avere il tempo di crescere e, se possibile, andare al college per maturare”.
La sua definizione di tennis?
“Uno sport solitario in cui devi convivere con la paura. Tutti la provano, anche i grandi campioni. Alla fine vince chi riesce a superarla prima”.
Si sente diverso da un coach tradizionale?
“Credo di essere fortunato e di avere il talento che mi ha dato Dio: un coach insegna il gioco, io provo a fare qualcosa di più. Sono un bravo ascoltatore e cerco di capire la persona che ho di fronte. In questo modo riesco a portare i miei allievi ad un livello più alto. Poi, come dicevo prima, bisogna essere sempre onesti con se stessi e con gli altri”
Il giocatore più difficile da allenare?
“Erano tutti differenti tra loro e nessuno é stato facile da allenare. Se avessi detto le stesse cose a tutti non sarebbe servito a nulla. Insegnare il gioco é facile, é tutto quelli che ci sta attorno che é complesso”.
Il più grande?
“Non posso rispondere: come un buon papà li considero tutti miei figli. Di certo il talento inespresso é stato Marcello Rios”.
E qui Nick Bollettieri si ferma: altri impegni lo attendono prima del volo che lo riporterà negli Stati Uniti con il manager Steve Shulla. Ma il suo, forse, é soltanto un arrivederci a Vicenza o, almeno, é quello che ci auguriamo. (1704)