Umago : Jannik Sinner “Quando perdo, non dormo”

Antonello Guerrera per “la Repubblica”

«Doccia veloce e arrivo». T-shirt rossa con orsetto e racchetta nella zampa, Jannik Sinner, 20 anni, da San Candido, scarica gli ultimi bolidi al servizio.

Unico spettatore dell’allenamento: l’afoso silenzio del “Goran Ivanisevic Stadion”, prima del torneo Atp 250 “Playa Laguna Open” di Umago, nella croata Istria, che scatta oggi. Jannik, numero 1 italiano, entrerà negli ottavi da mercoledì.

Dopo l’exploit di Wimbledon ha preso solo un paio di giorni di pausa, per stare in Südtirol con la famiglia. Che qui verrà brevemente, perché è alta stagione in montagna, e mamma Siglinde e papà Johann non possono lasciare il loro rifugio, dove lavorano come cameriera e cuoco. Ecco: l’eccezionale mentalità di Jannik Sinner è un affare di famiglia. Gli organizzatori del torneo in riva all’Adriatico sono stupiti dalla sua umiltà. Eppure Sinner è oramai un ambasciatore italiano nel mondo, come dimostrano i suoi contratti con grandi marchi italiani. In genere, Jannik evita di parlare di se stesso. Stavolta, però, si concede a Repubblica nella sua prima intervista dopo la consacrazione a Wimbledon, dov’ è stato fermato ai quarti di finale solo dal trionfatore Djokovic.

 

Sinner, rieccoci. Ha dormito dopo la sconfitta contro Nole?

«Quando perdo, non dormo».

Anche a Londra?

«Sì. Subito dopo la partita, ho rivisto gli highlights. Voglio imparare immediatamente dopo le sconfitte.

Da Wimbledon mi porto tante cose positive: ho fatto esperienza sull’erba e contro Nole al Centrale, ho battuto diversi tipi di tennisti. Ma potevo fare meglio certe cose». Per esempio?

«Spingere un po’ di più nel terzo e quarto set, a scapito di più errori. Far sentire a Djokovic il mio ritmo. Ma allora lui ha iniziato a giocare bene. Nel quinto set, era tardi: dall’altra parte c’era un mostro».

Vedendo Kyrgios in finale, ha pensato che avrebbe potuto vincerlo lei, Wimbledon?

«Ci sono tante incognite, difficile dirlo. Certo, stavo giocando bene (Jannik si ferma a riflettere, raccoglie alcuni rametti da terra). Probabilmente avrei avuto una chance. Comunque a tutti i tornei partecipo per vincere: è la mia mentalità. Di sicuro, Wimbledon mi ha dato molta fiducia, dopo gli infortuni e la sfiga in stagione: Miami, Indian Wells, Roma…».

Forse questa generazione di fenomeni come Djokovic, Nadal e Federer arriverà presto al capolinea. Felice?

«Relativamente. Perché in realtà sono contento di poter imparare da loro tre. Prendo un pezzetto da ognuno di loro e lo incorporo nel mio gioco».

Dopo Umago, lei giocherà a Montreal, a Cincinnati e poi agli Us Open, l’unico Slam dove non è arrivato almeno ai quarti. Ci fa un pensierino alla vittoria? Mancherà «Novax» Djokovic, e Nadal ha problemi fisici.

«Vediamo. Gioco bene su ogni superficie, passo ore e ore a migliorarmi sempre di più, anche perché con Simone (Vagnozzi, l’allenatore, ndr ) abbiamo fatto tanti cambiamenti. Ci vuole tempo. Certo, il miglior tennis lo gioco sul cemento».

Cosa deve migliorare?

«Sto lavorando tanto sul servizio. Devo variare di più la palla. Andare più spesso a rete. Essere ancora più aggressivo. Poi magari perdi la partita perché sbagli una volée del cavolo. Ma ora questa è la filosofia: vedremo se pagherà».

Dopo Wimbledon, sente più pressione?

«Io devo dimostrare solo a me stesso. Non ascolto ciò che dicono gli altri. Mi confronto solo con il team. Sono fortunato ad avere tutto questo ora: perché posso adattarmi già da giovane. La pressione è sempre lì, ma è un privilegio, è una cosa bella».

E la famiglia quanto la sostiene?

«Senza di loro, tutto questo sarebbe stato impossibile. Siamo una famiglia normale, e mi hanno insegnato a essere un ragazzo normale. Fuori dal campo, non faccio niente».

Niente?

«Nel senso che sono un ragazzo tranquillo. Mi piace andare ai go-kart, fare un barbecue, stare con gli amici».

Niente pub o discoteca?

«No, non ci sono mai entrato. Non sono il tipo. La famiglia mi ha insegnato a essere prima una brava persona e poi un ottimo professionista».

Legge anche?

«Ho iniziato quest’ anno: libri di sport. Quello di Ibrahimovic, e poi Lindsey Vonn, ora sto leggendo LeBron James».

Si ispira a loro?

«Mi piace leggere le loro storie dopo cena, ma se sono stanco mi addormento».

E quando si sveglia la mattina a cosa pensa?

«Prima di tutto a fare colazione con calma. Poi ti alleni per due ore, vai in palestra, e realizzi che lo fai per migliorare sempre di più. Quando la sera mi metto a guardare i video dei campioni, solo allora penso un po’ più in là».

Anche a diventare il numero uno al mondo?

«Non mi piace parlare del futuro. Ammetto di saper giocare molto bene a tennis, ma la strada è lunga. Certo però che ci pensi e sogni, perché ti alleni per arrivare lì. Ma per questo obiettivo devi avere dentro di te grinta, saper gestire la pressione, e divertirti, con le persone giuste intorno. Arrivi al top solo con questo equilibrio. Il mio unico obiettivo è esprimere il 100% di me stesso. Poi vediamo a quale numero in classifica corrisponderà».

E come si arriva al 100%?

«Tattica, tecnica, fisico, vita fuori dal campo. Mangio sano ogni giorno, perché persino un pasto giusto può darti quell’1% in più per vincere».

Il tennis è la sua vita?

«Dopo lo sci, l’ho scelto perché mi piace più di tutto il resto».

Perché?

«Nello sci, con un errore sei fuori. Nel calcio, un giocatore da solo non può fare la differenza. Nel tennis invece sei solo contro l’altro: è una battaglia mentale, come negli scacchi. Devi entrare nella testa dell’avversario. È questo il vero scopo del tennis. Difatti, i migliori tennisti sono quelli che vincono anche giocando male».

L’ha detto pure Nadal a Wimbledon, parlando di lui, Djokovic e Federer.

«Ecco. Ci sto provando anch’ io».

Quant’ è orgoglioso di essere il n.1 in Italia?

«Sono solo classifiche. Berrettini è stato sfortunato quest’ anno. Poi c’è Musetti che ha appena vinto ad Amburgo. L’Italia ha tanti giocatori diversi, ma ottimi, ed è bello per il Paese. Le classifiche lasciano il tempo che trovano».

Con Berrettini che rapporto ha?

«Buono».

C’è rivalità?

«Difficile dirlo, perché ancora non abbiamo giocato contro. Siamo due ragazzi sereni, che danno tutto, ognuno sulla propria strada. Lui è un po’ più adulto, ha vinto di più, è stato nei top 10 a lungo, e ci ritornerà, ancora più forte. Non lo conosco benissimo, ma abbiamo un buon rapporto».

Il suo storico allenatore Riccardo Piatti l’ha lanciata, poi le vostre strade si sono divise. Ora lei è allenato da Simone Vagnozzi e dal mentore australiano di numeri 1, Darren Cahill. Cosa è cambiato?

«Non voglio fare paragoni tra Riccardo, Cahill e Simone. Ognuno ha la sua testa e personalità. Con Simone e Cahill mi trovo benissimo».

Cosa le hanno dato in più?

«Simone è molto bravo a livello tecnico e tattico. Cahill ha tanta esperienza, lo ha dimostrato con gente come Agassi ma anche con Halep, con ognuno trova il modo giusto. Conosce bene il tennis, e l’erba, è molto bravo a motivarti prima della partita. Magari ti dà quello 0,05% in più prima di scendere in campo: ma anche questo può essere decisivo». (1504)

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