Giampiero Mughini per Dagospia.com
Caro Dago,
per fortuna c’è che lo sport ha dei percorsi – dei viali – più alberati, più ricchi, più belli che non altri percorsi della nostra vita reale, a cominciare da quelli della politica, e a non dire della politica quando si fa più sfrenata e aggressiva e micidiale: la guerra. Quella di punire alcuni grandi tennisti russi per il fatto di essere nati in Russia è tra le porcate più spaventevoli che io abbia ascoltato da un po’ di temo a questa parte.
Da italiano, da amante dello sport, da cittadino del mondo che piange le tragedie da cui è attualmente irrorata l’Ucraina, me ne vergognerei se a Medvedev e a Rublev venisse negato di calcare la terra rossa su cui si giocheranno i prossimi Internazionali d’Italia. Non abbiamo davvero bisogno di accrescere il tasso di aggressività tra le nazioni e i popoli. Al contrario, cerchiamo di usare lo sport per smussare quell’aggressività. Sono mille e mille gli episodi che confermano la mia opzione. Al tempo in cui Mussolini era sovrano della nazione italiana e la nazionale italiana guidata da Vittorio Pozzo salutava il pubblico a braccio teso prima di iniziare il match, in occasione dei Campionati del Mondo a Parigi del 1938 gli antifascisti italiani esuli in Francia perorarono una campagna di delegittimazione dei nostri atleti, invitarono a di fare addirittura il tifo contro di loro. Uno di quegli antifascisti, Leo Valiani, uno dei maestri della moderna coscienza repubblicana, disse di no, che lui avrebbe tifato per l’Italia del pallone, che una cosa era il fascismo e una cosa erano gli atleti che rappresentavano. Grazie, Valiani. E ancora. Dopo il secondo dei tre salti di qualificazione alla finale del salto in lungo alle Olimpiadi di Berlino del 1936, il nero americano Jesse Owens non era ancora riuscito a qualificarsi. Gli si avvicinò uno splendido atleta tedesco bianco ventitreenne, lo studente di giurisprudenza Carl Ludwig Hermann Long. Che nelle qualificazioni aveva ottenuto il nuovo record olimpico saltando a 7,73 metri. Consigliò ad Owens di anticipare il punto di stacco di 30 centimetri. Owens riuscì a qualificarsi. In finale Long saltò fino a 7,87 metri. Owens superò gli otto metri e si guadagnò la medaglia d’oro (è una leggenda che Hitler non lo volle premiare personalmente perché nero). I due atleti si allontanarono dal campo abbracciati. Long morì sui campi della Seconda guerra mondiale. Ricordo la foto di un Owens che nel dopoguerra torna sul campo dello stadio di Berlino e abbraccia il figlio del leale atleta tedesco. Questi sono i percorsi dello sport. E del resto è più vicina a noi la porcata di coloro che per motivi di propaganda avrebbero voluto che i tennisti italiani non andassero a giocare in Cile la finale della Coppa Davis. Adriano Panatta e i suoi compagni resistettero a questa ingiunzione, andarono, indossarono in campo una maglia rossa e vinsero 4-1. Sarebbe stato meglio se non fossero andati, se non si fossero insozzati con il respirare l’aria di un Paese dove vigeva una dittatura senz’altro oscena? Non dite sciocchezze, e difatti Adriano che è un ragazzo intelligente oltre che essere stato uno smagliante campione, è il primo a dire che quella di proibire gli Internazionali di tennis a Medvedev e Rublev è solo una gran “porcata”. Né ho bisogno a questo punto di citare a questo punto il film di Clint Eastwood, quello che celebra la vittoria ai campionati del mondo di rugby della nazionale del Sud Africa, una nazionale tutta di “bianchi” che era stata calorosissimamente incoraggiata dal presidente “nero” Nelson Mandela, da un presidente che i “bianchi” avevano tenuto in cella per 27 anni. Potrei continuare per delle ore. (976)