Il Grande Slam dei capricci

Guia Soncini per www.linkiesta.it

Il grande slam dei capricci. Non esiste più il carattere, ormai è tutta una questione di salute mentale (anche al Roland Garros)

Invocare il proprio benessere psicofisico è il pretesto migliore per non fare quello che non si vuole fare. Consente di definire “ansia” la banale disorganizzazione o, come nel caso della tennista Naomi Osaka, di farsi passare per soggetto fragile quando non si ha voglia di rispondere ai giornalisti
C’è una funzione di Instagram che si chiama «explore». Ci clicchi, e ti propone profili che potrebbero interessarti giacché, immagino, simili a quelli che già segui. A me propone regolarmente Roberta Beta (l’antipatizzante del primo Grande Fratello), allenatori che danno consigli su come diminuire la massa grassa e aumentare quella muscolare (l’algoritmo deve aver saputo che non sono granché in forma), e tantissimi decaloghi sulla «mental health», quella cosa che in italiano si chiama «equilibrio psichico» e in doppiaggese «salute mentale».

Sebbene non segua neanche una delle psicologhe di Instagram – una categoria di cui prima o poi bisognerà occuparsi: c’è un grande romanzo, nascosto dietro professioniste della psiche le cui pazienti possono guardarle mentre aprono i regali degli sponsor e si autoscattano in bikini – è ovvio che mi compaiano questi temi: seguo moltissimi attori e scrittori americani, e per loro tutto è mental health.

Non esiste più il carattere. Non sei pigra, o scorbutica, o ritardataria, o malmostosa, o poco socievole, o soggetta a tiramenti di culo. Tutto ciò che non è impeccabile, nei tuoi comportamenti, è segno che hai bisogno di prenderti cura della tua salute mentale. Non hai un pomeriggio di malumore: sei depressa. Non sei golosa: hai un disturbo alimentare. Non sei capricciosa: hai un disturbo dell’attenzione. E, in nome di ciò, tutto ti è concesso. Quasi tutti questi decaloghi sono sintetizzabili in: datti il permesso d’essere un disastro.

All’inizio pensavo si rivolgessero a gente più esigente con sé stessa di quanto lo sia io (non che ci voglia molto: io da me esigo talmente poco che se non ci sono più bicchieri puliti ordino a domicilio nuovi bicchieri), ma la grande rivelazione di questo settore instagrammatico è che c’è gente che, da sé, pretende persino meno di me. Se non hai la forza di lavarti i denti non devi essere severa con te stessa, puntesclamativo. Se ci metti una settimana a rispondere a un’email non devi colpevolizzarti, ripuntesclamativo.

Maggio è stato il mese della salute mentale (siamo passati dai giorni ai mesi, se iniziamo a decidere che tutti questi giorni e mesi di qualcosa sono anche festivi, è la volta che smettiamo tutti di lavorare, che sarebbe un’ottima tutela della nostra salute mentale: non capisco come mai un certo partito italiano non s’appropri di questa idea).

Ryan Reynolds – attore multimilionario – verso la fine del mese ha instagrammato il suo bravo penzierino, in cui spiegava che la ragione per cui era in ritardo a segnalare il tema era che riempie l’agenda di troppe cose da fare, e perché? Ma perché soffre di ansia, che domande. (Non sei disorganizzato: hai l’ansia. L’ansia del post su Instagram, da non sottovalutarsi rispetto all’ansia d’andare in miniera).

Sappiate, diceva RR, che se anche per voi è così è perché avete l’ansia, e non siete soli, e dobbiamo liberarci dello stigma (da quand’è che abbiamo deciso d’inventarci uno stigma per le cose meno stigmatizzate al mondo, dalle mestruazioni allo Xanax?).

Dunque non mi ha minimamente stupito che il passepartout con cui Naomi Osaka ha deciso di non presentarsi in conferenza stampa al Roland Garros fossero le paroline magiche «a tutela della mia salute mentale»: è la scusa pigliatutto, non ci si può opporre, diversamente da quanto sarebbe accaduto con una qualunque verità tipo «i giornalisti fanno domande troppo imbecilli e mi scoccio a rispondergli».

Verità che peraltro Osaka non tace nel seguito della comunicazione che ha instagrammato, ma tanto ormai il titolo era fatto con «salute mentale»: «Ci mettono a sedere lì e ci fanno domande che ci hanno già fatto mille volte, o domande che ci spingono a dubitare di noi, e io non mi assoggetterò a gente che dubita di me». A gente che, guadagnando meno di me, osa pure non avere un tono riverente.

Giacché è sveglia, o segue i consigli di gente sveglia, nello stesso post prevedeva la multa, e sperava che l’associazione del tennis professionale devolvesse la cifra che avrebbe preteso da lei a una qualche causa psichiatrica. E infatti l’Atp l’ha prontamente multata, di quindicimila euro.

Osaka è, da due anni, la sportiva più pagata al mondo. Nell’ultimo anno, secondo Yahoo Sports, ha incassato 55 milioni e duecentomila dollari. Non c’è dunque bisogno – vorrei rassicurarvi – che facciamo una colletta per pagare la multa di questo suo gesto simbolico a tutela di tutte noi mortali, troppo spesso sottoposte allo stress di ascoltare domande imbecilli solo perché non possiamo permetterci la multa.

Tra l’altro queste prese di posizione, in un’epoca in cui le multinazionali smaniano per posizionarsi dalla parte giusta dei grandi temi, e per una il cui fatturato è fatto di sponsorizzazioni, sono perfette: non andare in conferenza stampa, proteggi la tua salute mentale, e rilassati usando il nostro shampoo. Nessuno tiene al tuo equilibrio psichico quanto le multinazionali.

L’organizzazione del Roland Garros, neanche fosse la Nazionale italiana cantanti, ha sbagliato la prima reazione, postando sui social una foto dei tennisti che avevano invece presenziato alla conferenza stampa, con la didascalia «Loro conoscono i loro doveri». Si sono dovuti precipitare a cancellarla, giacché il ricatto di «salute mentale» è persino più potente di quello di «mi ha detto di alzarmi da tavola solo perché sono donna»: non puoi vincere, puoi solo cambiare sport.

E infatti ieri gli editoriali americani mettevano tutti i carichi: donna e pure di colore, epperciò meno ascoltata quando ci parla dei suoi bisogni, meno rispettata quando si fa rispettare («meno pagata» non l’hanno detto, dev’essere sembrato troppo persino ai titolisti suscettibili).

Le sorelle Williams furono multate in passato per non aver presenziato a conferenze stampa dopo partite in cui erano state sconfitte; la stessa Osaka rischiava di essere multata di nuovo, per ogni eventuale assenza dopo ogni partita del torneo. Succede solo nel tennis: i calciatori in silenzio stampa non li multa nessuno.

Ha deciso, Osaka, di non intrattenerci facendoci attendere le sue prossime assenze alle conferenze stampa: ieri ha annunciato che abbandonava il Roland Garros, un’altra di quelle cose che puoi permetterti di fare se sei ricca e non ti servono le coppe dei francesi. Dice di averlo fatto perché così si smetterà di parlare del suo silenzio stampa e si tornerà a parlare di tennis. Mica può dire che una seconda conferenza stampa mancata sarebbe stata una stanca replica e magari non avrebbe ricevuto la stessa attenzione, mentre un abbandono del torneo è il grande slam dei capricci. (266)

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