Enrico Sisti per “la Repubblica”
La Navratilova la spinge a proseguire: “Alla sua età ero più usurata, Serena è tennisticamente ancora giovane” – Sua madre, invece, non vede l’ora che appenda la racchetta al chiodo: “Sarebbe meglio che smettesse ma non lo farà certo domani…”
Nemmeno per un momento Serena ha temuto di restare coinvolta nella caduta degli dei: nelle orecchie le risuonavano le parole usate dalla stampa per commentare, con una punta di cattiveria, l’ingloriosa fine di Djokovic e Federer, parole rubate a Freddie Mercury: “Another one bites the dust!”. No, lei no, non è ancora arrivato il momento di mangiare la polvere.
Il bello di Serena è che continua a essere la massima fonte d’ispirazione per i giovani tennisti afroamericani. Il brutto è che oltre lei non c’è nessuno e da sola non basta per risollevare l’intero movimento, visto che nel mondo dei bianchi i fratelli Bryan vincono il loro 100° titolo in carriera, fanno parlare di sé, ma più che trascinare le nuove generazioni pensano a se stessi e al loro circo, alle moine che dispensano in campo e con le quali rendono quasi comiche le loro vittorie.
La federazione conta centinaia di promesse “black” che sognano di incontrare uno come James Pyles (il primo teacher delle Williams), di percorrere la stessa strada di Venus e Serena, di uscire da East Compton Park, a Los Angeles, o dalla 136esima di Harlem, o da qualunque altro indirizzo di qualunque altro quartiere povero di qualunque altra città degli Stati Uniti, fortificare il talento e incontrare uno straccio di fortuna. Ma troveranno spazio?
Dietro le Williams non bastano Madison Keys, Sloane Stephens, Victoria Duval, Taylor Townsend, Sachia Vickery. Il paese è troppo grande e il tennis d’alto bordo ghigliottina chiunque non riesca ad alzare l’asticella del proprio gioco, è un sistema impietoso che non garantisce più nulla nemmeno al n.40 del mondo, maschio o femmina che sia. Provoca più delusioni o attacchi di panico (il caso di Mardy Fish) che entusiasmo.
Basta niente e ti ritrovi travolto dall’angoscia e dai problemi economici: «Bisogna cambiare il metodo d’approccio con la base: nelle scuole i talenti vengono risucchiati dagli altri sport». E così chi doveva sviluppare, non sviluppando abbastanza,è stato allontanato dal suo incarico (Patrick McEnroe).
La seduzione del tennis è in declino. Serena quanto può durare ancora? Quanto può incidere sui destini dell’ambiente futuro? «Ha ancora tanto davanti», sostiene Martina Navratilova, appena raggiunta da Serena con 18 titoli Slam, «io alla sua età avevo giocato 300 partite in più di lei, quindi ero molto più usurata, lei è tennisticamente ancora giovane».
Il sospetto, tuttavia, è che a Serena tutta questa baraonda stia cominciando a pesare, compreso il fatto di dover chiedere al suo coach/fidanzato Mouratoglu di portare a spasso il cane: «Non so quanto ancora avrò voglia».
Lo dice ogni volta che vince. Poi ci ripensa ma cambia poco. Non può sfuggire che ogni trionfo la spinga a considerazioni clamorose: «Ero convinta che quest’anno non avrei più vinto uno Slam». Oppure: «Non so se tornerò mai quella di prima». Quale prima? La rincorsa al 18° titolo la stava stremando psicologicamente. «Ora sono pronta per la prossima stagione ». Però lo dice male, come se non escludesse che potrebbe essere l’ultima o la penultima.
Sua madre Oracene non vede l’ora: «Sarebbe meglio che smettesse, ma non lo farà certo domani…». Non dopo aver vinto una partita in cui, secondo l’amica Carolina, «è stata la più grande tennista di tutti i tempi dalla prima all’ultima palla».
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