Nadal ad uno Slam da Federer, sorpasso? C’è chi dice no.

Giancarlo Dotto per Dagospia

Apprezzo molto (e lo ringrazio pure) che Mughini, amico gemello di ossessioni celestiali spacciate per tennis, con una bizza imperiosa del suo carattere imperioso, mi abbia iscritto d’ufficio nel catalogo di quelli che devono chiedere scusa a Rafa Nadal.

Io, anche a nome di Mughini, mi dissocio. Scusa un bel niente. Rafa è un ragazzo incantevole, ovvio. Uno straordinario tennivoro, ovvio. Mai sognato di negarlo. E nemmeno mi frega nulla di ascoltare o dare fiato alle tante illazioni sulle mutazioni alias rigenerazioni “sospette” del suo corpo. Dopo di che, io mi acceco volentieri se si tratta di non “vedere” il suo tennis energumeno. E, infatti, lo evito a più non posso. Non l’ho evitata domenica notte, ma solo perché dall’altra parte c’era quello strampalato di Medvedev, meravigliosa anomalia di tennista ragno per cui ho tifato senza speranza alcuna.

Lascio stare le private fobie da zoomorfismo (l’espressione da ratto cattivo di Rafa quando lancia la palla in aria, subito prima di colpirla, un incubo), che per me bastano e avanzano. Vado oltre. Dove oltre Rafa non va, non può andare. Dicevamo del “corpo”. Roger Federer è droga allo stato puro. Non saprei come altro definirlo. “Esperienza religiosa” sì, va bene, ma solo se include annientamento, smaterializzazione e dispersione. Non sono un idolatra tout court di Roger (detesto ad esempio quel suo spot orrendamente ammiccante degli spaghetti dove fa il paio con Oldani).

Come tanti al mondo, sono tossico e dipendente del suo gesto che per convenzione chiameremo “tennistico”. Se la preghiera recita “liberaci dal male”, nel caso di Roger diremo “liberaci dal corpo”. Il male assoluto, la delirante punizione che ci chiude in gabbia.
I “momenti” di Federer hanno questo di psichedelico, ci liberano dal corpo, ci spediscono in un altrove dove non esistono la digestione e la defecazione, dove non ci sono zuccheri nel sangue e calcoli nel fegato, dove tutto accade con la levità di chi non ha marcibili budella da sanare o muscoli da gonfiare. Una volée di Roger è il respiro di una bocca che non c’è, la grazia di un gesto che non ha braccio né volontà. Roger ci assolve, ci estasia. Roger è droga pura. E Dio ha perso una strepitosa occasione di esistere quel giorno a Wimbledon (e non ditemi che Dio non si applica su vicende così meschine, che quella era invece una vicenda di proporzioni bibliche).

Rafa è il suo contrario. Il suo tennis energumeno, di esiti certo grandiosi, irripetibili, ci riporta dritto, inesorabile, nell’inferno del corpo e nella mediocre grandezza umana del “volli fortissimamente volli”. Ci riporta nella miseria dei grugniti, degli spasimi, del sudore, della fatica di vivere, di evacuare, di rispondere al servizio o tracciare un passante. Rafa ci riporta a quello che siamo, sappiamo di essere e non ne possiamo più di essere. Roger è il miraggio che ci tiene in vita. Ancora per poco. (569)

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