Paolo Rossi per repubblica.it
Sconfitta oppure no, resta il fenomeno Matteo Berrettini. D’altronde non era certo questo match – una semifinale di un Grande Slam persa contro Rafa Nadal in tre set: 7-6, 6-4, 6-1, a dover certificare la misura della crescita di questo ragazzo, i cui numeri dicono tutto: è già il miglior italiano dell’Era Open perché, per conquistare tre titoli Atp, ha impiegato 23 anni, 2 mesi e 4 giorni. Più veloce persino di Adriano Panatta e Corrado Barazzutti. Romano, come il primo dei due. Ma diverso. Quanto diverso. Ma non soltanto da Panatta. Da tutti i tennisti italiani che lo hanno preceduto. La sua ascesa sta rivoluzionando i luoghi comuni sui tennisti italiani, mammoni, discontinui, tardoni a esplodere, terraioli e pigri, deboli di testa e fisicamente non il massimo.
Questo era ieri. Oggi Berrettini incarna un altro modello: potenza fisica, cocciutaggine, professionalità e ricerca della perfezione. Non sembra italiano, figurasi immaginarlo romano de Roma. Lo avevano già battezzato, nel senso di gufargli, dicendogli che il suo corpo da gigante XXL poggiava su due caviglie di taglia S: non poteva reggere. Lui si è divertito aumentando esponenzialmente la velocità negli spostamenti laterali, il problema comune di tutti quelli che superano il metro e novanta di altezza. Gli dicevano che non poteva fare strada, solo con servizio e il dritto? Ed eccolo, che con il rovescio, ora si costruisce i punti, si diverte a lavorare ai fianchi gli avversari.
La verità è che nessuno conosce fino in fondo Matteo Berrettini. Perché è tipo chiuso, diffidente. E fa bene. Si apre solo a quelli meritevoli della sua fiducia. È così di carattere, rafforzato anche dagli insegnamenti di Vincenzo Santopadre, un bel mancino che però non è poi riuscito a sfondare oltre la posizione numero cento. Però Santopadre ha una qualità meravigliosa, come coach: ha scelto di essere un maestro. Di vita, prima ancora che di tennis.
Dietro la sua gentilezza, c’è un uomo dal pugno di ferro che, proprio perché ha vissuto certe esperienze sulla propria pelle, sa quali consigli dare per essere dei buoni professionisti. Il destino li ha uniti, loro si sono piaciuti. Poi il gioco è cresciuto, la famiglia si è allargata: ecco quindi Umberto Rianna, altro coach d’esperienza, e Stefano Massari come mental coach. Una gestione familiare, ma anche lungimirante: papà Luca Berrettini, genitore che supervisiona ma non entra nel merito del lavoro sportivo, s’è mosso però sul versante economico rilevando un circolo sportivo a Roma nord, il Ct Bel Poggio, trasformandolo nell’Academy di cui Matteo è l’icona, seguendo lo stesso principio con cui i Nadal hanno operato a Maiorca.
Oggi Matteo ha 23 anni e (quasi) cinque mesi: è il suo momento magico. Oggi il ragazzo che tifa Fiorentina, apprezza la carbonara, stravede per la Nba, i film e la lettura, è diventato uomo. Ama le sfide e alzare le asticelle, ma questa volta ha fatto un salto davvero no limits e il saperlo gestire (media, pressioni e pacche sulle spalle) sarà il suo vero Slam. Perché molti altri ragazzi, nel passato recente e non, si sono bruciati per molto meno. Ma Berrettini legge e conosce la storia, si può essere fiduciosi. Per gli Slam, e tutto il resto. (451)