(Foto Patrick Boren)
Angelo Mancuso da www.federtennis.it
Il talento, quello vero, è dono di pochi eletti. Così come l’anarchia di Fabio Fognini intesa come qualità, come capacità di inventare, di stupire e sorprendere, ma talvolta anche di distruggere e di distruggersi. Nessuno, però, ora potrà più mettere in dubbio che è il più forte giocatore italiano degli ultimi 35 anni. Quel “numerino magico”, come lo ha definito lui stesso, è lì a certificarlo: 10 del mondo. Potrà non piacere e talvolta ha atteggiamenti sopra le righe, ma la qualità del suo tennis non si discute. Con buona pace di tutti i se e i ma che da anni lo accompagnano. Potrebbe vincere di più? Certo. Ma a guardare sempre ciò che non ha fatto si rischia di dimenticare il valore di ciò che ha fatto e potrà ancora fare. Perché non finisce certo qui e lo confermano le sue parole: “Raggiungere la top ten è un po’ il compimento di un sogno. Mi rivedo bambino sul campo da tennis con la racchetta più grande di me e penso: ‘Ne ha fatta di strada quel bambino’. In questo momento sono felice e il ringraziamento va alla mia famiglia, a mia moglie e mio figlio, agli amici e a tutte le persone che mi sono sempre state vicino. Lunedì sarà emozionante vedere il numero 10 accanto al mio nome. Questo è un piccolo grande tassello che si aggiunge ad altri e mi spinge a continuare a dare tutto me stesso per questo sport che amo”.
UN LUNGO CAMMINO
Era il 2002, Fognini aveva 14 anni e stava giocando le qualificazioni a un torneo junior a Santiago del Cile. L’allenatore Leonardo Caperchi lo portò a Vina del Mar per fargli toccare con mano il mondo professionistico. Per il giovanissimo ligure fu un battesimo di fuoco. Sotto i suoi occhi di ragazzino alle prime armi, David Nalbandian fu squalificato durante il match contro Flavio Saretta per aver insultato un giudice di linea. Quasi una premonizione di quanto avremmo visto negli anni a seguire. Fabio novello Dottor Jekyll e Mister Hyde della racchetta capace di tutto, nel bene e nel male: prendere o lasciare. Il giorno e la notte, paradiso e inferno, bello e dannato. Non c’è articolo in cui non si faccia menzione delle sue bizze. Fabio è così, un passionale e istrione, non sai mai cosa gli passa per la testa. Le esplosioni d’ira contro gli arbitri e l’incapacità di controllare i nervi, che gli sono costate più di una partita in carriera, lo hanno consegnato al culto del diverso, del McEnroe 2.0. Eppure, con tutti i suoi limiti, a quella benedetta top ten si era già avvicinato qualche stagione fa. Domenica 7 luglio 2013, giorno in cui Murray conquistava Wimbledon, lui era in Germania e scese in campo contro De Bakker in un incontro di Bundesliga. Qualche giorno dopo sarebbe iniziata una cavalcata impressionante: vittoria a Stoccarda, vittoria ad Amburgo (un Atp 500) e finale a Umago, tutte sulla terra. Nella stagione seguente il 31 marzo 2014 era salito fino alla 13esima posizione, dopo aver vinto il titolo a Vina del Mar. “Rispetto ad allora sto vivendo il momento con maggiore consapevolezza e maturità”, aveva confessato durante le giornate parigine. E ha avuto ragione.
IL CLICK GIUSTO
In fondo è normale che a 32 anni si facciano meno stupidaggini che a 20. Nel frattempo si è sposato con Flavia Pennetta (era l’11 giugno 2016) e nel maggio 2017 è arrivato il primogenito Federico. Se è vero che la paternità fa bene ai tennisti, lui ne è la prova evidente. La chiave era tutta nella sua testa: il click giusto è arrivato quando si è reso conto di essere forte, molto forte. Il segno di una profonda maturazione e ulteriore indizio del definitivo salto di qualità. E’ accaduto a Monte Carlo, a un passo da casa, in uno stadio da paradiso tra cielo e mare. Passione e resurrezione, senza voler essere blasfemi visto che ricorreva la Pasqua. Il 21 aprile 2019 è diventata una data storica per il tennis italiano perché un azzurro è tornato a trionfare in un torneo importante, il primo Masters 1000 da quando nel 1990 è stata istituita la categoria. A Monte Carlo l’ultima vittoria risaliva addirittura a 51 anni fa: era il 1968 e Nicola Pietrangeli completò il personale tris. Poi nel 1977 Corrado Barazzutti si arrese a Borg in finale. Lo squillo nel Principato è stata la fine di un’attesa per chi in Fognini ha sempre visto quel talento puro capace di manifestarsi superando illusioni e delusioni, vittorie e sconfitte. In questo vortice hanno saputo resistere i più irriducibili, pellegrini in viaggio verso una meta, un sogno. Dopo quel trionfo Fabio è diventato più consapevole della propria forza e ha raggiunto picchi di rendimento straordinari. Li aveva già avuti di tanto in tanto, ma a corrente alternata. Quante volte in Coppa Davis si è caricato il team azzurro sulle spalle? Ora la differenza la fa la continuità: se ha trovato sul serio la ricetta per risolvere questo difetto nessun sogno è vietato.
BARAZZUTTI: “LO MERITA”
In pochi conoscono bene Fognini quanto Barazzutti, capitano di Coppa Davis. Corrado è anche stato l’ultimo tennista italiano capace di entrare nella top ten nell’era open prima del ligure: correva il 1978 e salì fino alla settima posizione mondiale. Sono passati 41 anni e ora ecco Fognini. “Fabio strameritava di centrare questo traguardo. E ora non deve fermarsi qui perché può e deve fare ancora meglio. Cosa è cambiato? Dopo la vittoria a Monte Carlo ha preso consapevolezza di essere un giocatore che può ottenere grandi risultati, non solo qualche exploit – sottolinea Barazzutti – ed è sempre più convinto della propria forza, delle sue qualità. Non che prima non lo sapesse, ma un Masters 1000 non lo aveva mai vinto in passato. E’ più forte caratterialmente, ora sa di poter vincere un grande torneo perché la qualità del suo tennis non si discute. Nei momenti in cui non tutto gira bene – aggiunge Corrado – è capace di vedere la parte positiva e non quella negativa come magari gli capitava in passato quando perdeva lucidità. Questo è un aspetto fondamentale perché ha la serenità di superare i momenti non buoni che durante una partita possono capitare. Ha finalmente la continuità necessaria per emergere, per raggiungere risultati importanti. Dopo Monte Carlo ha acquisito una dimensione positiva si sé stesso. Quando gioca come sa, non è secondo a nessuno, è tra i più forti del mondo. E questo non lo dico io, ma i suoi avversari”.
COME I PIU’ GRANDI
A Parigi, ha agganciato Martin Mulligan al quarto posto della classifica all time dei tennisti italiani per numero di match vinti negli Slam: sono ben 52 (di cui 21 qui a Parigi), a meno 5 da Andreas Seppi e a meno 10 da Adriano Panatta. Praticamente irraggiungibile il solito Pietrangeli, che conduce a quota 90. Numeri che hanno la loro importanza. Oltre alla classifica mondiale ci sono altri parametri che lo eleggono miglio tennista italiano degli ultimi 30 anni. Quello dei titoli Atp, per esempio. Vincendo a Monte Carlo, unico italiano ad aver conquistato un Masters 1000 da quando nel 1990 è stata istituita la categoria, ha toccato quota 9 (oltre a 10 finali), a meno uno da Panatta, davanti a Paolo Bertolucci (6) e Barazzutti (5). Questa graduatoria, però, non tiene conto del tennis che ha preceduto l’era open: il buon Pietrangeli di successi in carriera ne vanta in totale 66. Numeri a parte, ciò che esalta di Fognini è la sua capacità di giocare alla pari con i più forti. Le partite vinte a Monte Carlo contro Zverev e soprattutto Nadal, che aveva già sconfitto in passato, ne sono la conferma. I prossimi obiettivi? Magari una finale Slam: in famiglia c’è già la vincitrice degli US Open, la moglie Flavia Pennetta. Perché non raddoppiare con il piccolo Federico in tribuna ad applaudire il papà campione? Come cantava Gianni Morandi: “Sei forte papà”.
GLI ITALIANI NELLA TOP TEN
Fognini è il terzo italiano dell’era open. In passato sono stati infatti due i giocatori italiani a raggiungere tale traguardo da quando è stata istituito il ranking ATP nel 1973. Il migliore degli azzurri, ripetiamo, nell’era open, è Adriano Panatta, giunto al numero 4 nel 1976, l’anno della conquista degli Internazionali d’Italia e del Roland Garros. Dietro di lui c’è Corrado Barazzutti, salito fino al numero 7 nel 1978.
Questa graduatoria però, è bene sottolinearlo, non tiene conto del tennis che ha preceduto l’era open. Negli anni Cinquanta-Sessanta, quando ancora i computer non c’erano, la classifica mondiale veniva stilata dal giornalista Lance Tingay, che scriveva per il “Times”. Nicola Pietrangeli, vincitore al Roland Garros nel 1959 e 1960 e agli Internazionali d’Italia nel 1957 e 1961, è stato indicato come numero tre del mondo (numero uno sulla terra rossa) sia nel 1959 che nel 1960. Numeri alla mano appare indiscutibile, dunque, come Nicola sia di gran lunga il miglior giocatore italiano di sempre.
Ecco di seguito la classica “all time” dei giocatori italiani capaci di entrare nella top ten mondiale nella storia del tennis. Ricordiamo ancora che prima dell’avvento del computer (1973) le classifiche erano stilate da giornalisti famosi e che a fine anno venivano indicati solo i primi dieci tennisti e le prime dieci tenniste del mondo.
Nicola Pietrangeli: n.3 nel 1959 e nel 1960 (classifica stilata dal giornalista inglese Lance Tingay)
Adriano Panatta: n.4 il 24 agosto 1976 (computer, era open)
Corrado Barazzutti: n.7 il 21 agosto 1978 (computer, era open)
Uberto de Morpurgo: n.8 nel 1930 (classifica stilata dal giornalista inglese Wallys Myers)
Giorgio De Stefani: n.9 nel 1934 (classifica stilata dal giornalista inglese Wallys Myers)
Fabio Fognini: n.10 il 10 giugno 2019 (computer, era open)
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