da www.federtennis.itAMATTEO PUNTA AL SEEDING DI PARIGI
E’ il 4° azzurro a vincere due titoli a 23 anni
Da più di 25 anni non si vedeva un italiano con due titoli ATP all’attivo a 23 anni. Solo tre azzurri nell’era Open hanno alzato il secondo trofeo nel circuito maggiore con una precocità più accentuata. Berrettini, nel solco di Adriano Panatta, Francesco Cancellotti e Stefano Pescosolido smentisce la fama ormai quasi proverbiale dei ragazzi del Bel Paese che maturano più tardi.
L’anno scorso ha contribuito a rendere l’Italia la seconda nazione più vincente nel circuito maggiore. La gran risposta di dritto sul match point, la gioia commossa e contenuta dopo la finale di Gstaad contro Bautista-Agut, le braccia aperte ad abbracciare chi c’era e chi con lui sperava nell’inizio di una nuova strada, restano a testimoniare una vastità di orizzonti e una solidità di principi. In Berrettini non brucia il fuoco fatuo di chi balla una sola estate. I suoi sono i passi sicuri di chi non dimentica quel che è stato, di chi pavimenta il suo percorso di certezze e per questo non si lascia deviare dal canto delle sirene dopo le prime vittorie.
Settimo italiano più giovane a vincere il primo torneo ATP, Berrettini è diventato il quarto ad alzare la coppa senza perdere un set dopo Corrado Barazzutti a Charlotte nel 1977, Gianni Ocleppo a Linz nel 1981 e a Francesco Cancellotti a Firenze nel 1984.
Il secondo titolo in carriera è tutt’altro che casuale. Un anno fa, Budapest sbloccava le magnifiche sorti e progressive di Marco Cecchinato avviato poi alla sua personale rivoluzione francese in forma di semifinale al Roland Garros e non di libertà che guida il popolo come nel quadro di Delacroix simbolo di un’epoca. Questa settimana, nell’albo d’oro gli succede un Matteo Berrettini che continua a dare prova di una solida e convinta maturità.
Numerosi e concordanti gli indizi che diventano una prova: il 100% di punti vinti con la prima contro Bedene, il quarto di finale raddrizzato di tenacia contro Cuevas, le belle sensazioni con Djere e la sterzata decisa dopo il primo set perso in finale contro Krajinovic. Anche in condizioni difficili, ha alzato il livello di applicazione, di attenzione e convinzione. Ha aggiunto una shot selection accurata e nessuna concessione alla fretta, al desiderio di compensare l’errore con una maggiore quota di rischio.
Berrettini però non comunica in campo una tendenza alla reazione eccessiva da iper-convinzione nelle proprie possibilità di controllare la situazione. Non induce sogni, non ne cerca almeno in campo, traduce solide realtà. Potenzia i colpi migliori, maschera le debolezze su cui lavora perché la differenza di rendimento sia sempre meno marcata. L’orizzonte della forza tranquilla gli ha consentito di assorbire le sconfitte di quest’anno senza dare l’impressione di dubitare che la strada iniziata con Santopadre porti dove entrambi vogliono arrivare.
Julio Velasco, il ct dell’Italia di pallavolo che ha modellato la “generazione di fenomeni” degli anni ’90, divide le sconfitte in due grandi categorie: quelle che ti fanno venir voglia di rigiocare subito perché sai di non aver dato il massimo, e quelle in cui hai fatto tutto il possibile ma hai incontrato qualcuno più forte di te. Le seconde richiedono più tempo per essere comprese e accettate, ma in fondo servono entrambe. Perché da entrambe si impara.
Berrettini, lontano dalle derive beckettiane di chi prova e fallisce meglio, attraverso l’errore migliora. Sarà il diciannovesimo italiano in top 40 nell’era del ranking computerizzato, sarà numero 37, una posizione dietro il best ranking di Simone Bolelli, numero 36 a 26 anni e 5 mesi nel febbraio 2012.
Non è un’esplosione, la sua, ma il risultato di un’accelerazione su basi solide. Diversa dall’exploit di Francesco Cancellotti, che a 21 anni e 6 mesi ha completato la doppietta Firenze-Palermo tra maggio e settembre del 1984, nel suo secondo anno da professionista. Conquista il primo titolo su Brown, dove aveva perso la finale contro Jimmy Arias un anno prima. Raggiunge i quarti a Roma e gli ottavi al Roland Garros, poi a Palermo festeggia il suo successo di maggiore prestigio. Non è da tutti superare in semifinale Tomas Smid, allura numero 14 del mondo, e in finale Miloslav Mecir, futuro top-5 e oro olimpico a Seoul nel 1988. Il perugino resta il più rapido degli azzurri ad arrivare al secondo titolo ATP in carriera. Più precoce anche di Adriano Panatta che ha conquistato il primo a 21 anni e 30 giorni, a Senigallia nel 1971, e il secondo solo nel maggio del 1973 a Bournemouth, agli Hard Court Championships teatro nel 1968 del primo torneo Open della storia. Nel giorno della vittoria su Ilie Nastase aveva 22 anni, 10 mesi e 13 giorni.
Due soli i titoli di Stefano Pescosolido, entrambi sul duro che esaltava il suo gioco offensivo. Il primo a Scottsdale, nel 1992, in finale su Brad Gilbert; il secondo, l’anno successivo, a Tel Aviv. A 22 anni, 3 mesi e 6 giorni, supera Thomas Muster in semifinale e l’idolo di casa Amos Mansdorf in finale.
Poi, nella lista degli azzurri più giovani con due titoli all’attivo, c’è Berrettini che da qui al Roland Garros, poi, scalerà solo 135 punti, i 90 punti del terzo turno a Parigi e i 45 del secondo al Foro. Ha poco da perdere e molto da guadagnare. Anche la sua rivoluzione francese potrebbe non essere in fondo così lontana.
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