Marco Bonarrigo e Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
(Foto Brigitte Grassotti)
Sara Errani è rientrata in Italia ed è impegnata nel match più difficile della sua carriera. Un controllo antidoping risalente ai primi mesi dell’anno, infatti, ha accertato un caso di non negatività che la riguarda e che la Federtennis internazionale (Itf), alla fine di un lungo iter, sta per rendere pubblico. Nelle urine della campionessa sarebbero state trovate tracce di arimidex, nome commerciale anastrozolo, riconducibile a un principio attivo farmacologico inquadrabile nella classe S4 degli «stimolatori ormonali e metabolici».
Non ci sono alternative posologiche al suo utilizzo (viene usato per trattare il carcinoma mammario in post-menopausa). In assenza di esenzione terapeutica, poiché fa parte dell’enorme e variegata famiglia degli steroidi anabolizzanti, è considerato doping. C’è un precedente di anastrozolo nella storia recente dello sport italiano: il 35enne canottiere azzurro Niccolò Mornati, cui alla vigilia dei Giochi di Rio de Janeiro fu imposto uno stop di quattro anni dal Tribunale nazionale antidoping, dimezzato (a fronte della presentazione di un imponente dossier) in appello. E 15 positività registrate nel mondo. Tutte sanzionate.
Una pessima notizia per la tennista romagnola che, tramontata la generazione di fenomene capace di conquistare (con il fondamentale contributo di Sara) quattro Federation Cup in otto anni e due titoli del Grande Slam (Schiavone nel 2010 al Roland Garros e Pennetta nel 2015 all’Open Usa), si era presa in spalla l’Italia del tennis con il compito di riportare la squadra nel gruppo mondiale e se stessa in una posizione di classifica più consona ai fasti passati, quando era arrivata in finale a Parigi (2012), al numero 5 del ran-king (2013) e in vetta alla classifica del doppio con Roberta Vinci, coppia irresistibile al punto da completare il Grande Slam della carriera.
Poiché Sara è considerata una fondamentale risorsa del nostro tennis — è una 30enne d’esperienza in grado di traghettarci dai vecchi successi ai nuovi talenti —, convinta della sua buona fede, la Federtennis italiana non ha abbandonato la campionessa, che ha approfittato dei mesi tra la non negatività e l’imminente annuncio dell’Itf per mettere a punto con una squadra di avvocati e medici (endocrinologi e specialisti) la linea difensiva. Sarà la stessa Errani, in settimana, a spiegare cosa è successo. Fatte le debite proporzioni (perché di situazione ben diversa si tratta), nella scia del caso Sharapova: il 7 marzo 2016, infatti, la russa aveva annunciato di essere risultata positiva al meldonio in un controllo durante l’Australian Open. Il caso Errani non è il caso Sharapova, però anche Sara vuole prendere in mano il suo destino, affrontando l’opinione pubblica con le spiegazioni necessarie.
Se la strategia difensiva riguarderà l’ipotesi di una contaminazione da integratori, un’esenzione terapeutica presentata in ritardo o in modo non corretto, uno squilibrio metabolico, lo sapremo presto. Ora, qui, è importante ricordare le parole con cui Sara si accomiatò dall’ultimo Australian Open, lo scorso gennaio, dopo il ritiro al secondo turno con la russa Makarova: «È vero che ho cambiato coach e allenamenti, però mi sto facendo male troppo spesso. Voglio tornare in Italia e fare analisi più approfondite».
Esaminata attentamente la vicenda, in presenza di ottime giustificazioni la Federtennis internazionale potrebbe ridimensionare il caso Errani, avvicinandolo forse — più che al meldonio di sharapoviana memoria — al valore anomalo di salbutamolo (sostanza contenuta in un farmaco per curare l’asma) che venne contestato a Filippo Volandri, ex numero uno italiano, nel 2009. In quel caso, accertato il fatto che il tennista non aveva l’intento di migliorare la prestazione sportiva, l’Itf gli aveva comminato tre mesi di squalifica, poi cancellati dal Tas di Losanna. (591)