Ieri notte ho sognato un pinguino che volava. Poi mi sono svegliato realizzando che non è possibile. Eppure un tempo gli uccelli pinguini sapevano volare. Il verbo “sapere” non rende bene l’idea perché il volare o il non volare, per i pinguini, non è correlato con alcuna volontà, tantomeno a un’attività cosciente in grado di modificare le proprie caratteristiche morfologiche. Quando volavano lo facevano indipendentemente dalla propria volontà ed oggi che non volano, ma cercano il cibo nelle profondità marine, lo fanno con la stessa spensieratezza. Un po’ come lo swing di Roger Federer o quello di Andy Murray.
Il cambiamento nei pinguini è avvenuto attraverso un’evoluzione lenta e graduale, in milioni di anni. La loro struttura è divenuta sempre più adatta al nuoto perdendo gradualmente l’efficienza relativa al volo finché sono diventati incapaci di farlo. L’ala si è ristretta, l’osso si è ingrossato e la massa corporea è aumentata. In questo modo il costo energetico del volo è diventato insostenibile, mentre quello del nuoto in profondità sempre più efficiente; al contrario di quello che accade negli altri uccelli, la cui struttura più leggera, un’ala più ampia, un’ossatura cava, permettono loro di librarsi in aria con un minimo dispendio energetico, anche per singolo battito d’ali.
Più fattori contribuiscono e concorrono a rendere un’attività biologica o lo sviluppo morfologico il più efficiente possibile, in relazione ad una attività, e tali fattori sono dipendenti da condizioni genetiche che influiscono su singoli aspetti che poi interagiscono sinergicamente. Non c’è un singolo gene che controlla l’altezza ma più verosimilmente l’altezza di una persona è correlata a un pool genico da cui dipendono la lunghezza delle ossa, dei muscoli, dei tendini. La sinergia di questi aspetti permette ad alcune persone di arrivare agli scaffali più alti dei supermercati. Le altre possono solo chiedere un favore o prendere una scala.
Non è diverso per l’efficienza di un’ala e verosimilmente la cose non cambiano per l’efficienza di uno swing nel tennis. E’ una questione di caso, al limite di necessità di sopravvivere. Non credo proprio sia opportuno tirare in ballo il “guru degli abbracci” al quale sembra essersi affidato negli ultimi tempi il serbo Novak Djokovic. Affidiamoci a Jacques Monod, a Charles Darwin, ho l’impressione che la sete di spiegazioni venga appagata in modo migliore e maledizione a chi ha messo la passata di pomodoro sull’ultimo scaffale.
Così guardando i risultati delle finali di tennis a Londra ho pensato di conseguenza: “ecco un pinguino che cerca di volare”. Avevo in mente Kei Nishikori dopo la sconfitta con Andy Murray e l’ennesima partita lottata fino all’ultimo e l’ennesima resa del giapponese. Non che il tennista del sol levante non possa vincere con Andy Murray o con gli altri campioni più vincenti di lui (ha già dimostrato di poterci riuscire), ma nonostante questo sembra che gli manchi qualcosa. La continuità di rendimento, una vittoria o due in più a livello di slam. Agli Us Open, dopo aver sconfitto proprio Andy Murray nei quarti gli sarebbero servite altre due vittorie. Nel 2014 gliene è mancata una in finale con Cilic. Proprio in questa occasione eliminò Wawrinka in cinque set e Djokovic in quattro, per poi perdere con periodico 63 in finale. Il buon Gianni Clerici dal sito di Scanagatta avanza l’ipotesi che non sia “pronto psichicamente”. Opinione rispettabile ma il problema di un pinguino che non riesce a volare potrebbe non essere di natura psichica. Il giapponese corre bene, muove il braccio in modo corretto, si impegna, lavora atleticamente. E’ il tennista che ammiro e rispetto di più per come affronta le partite anche se a volte come dice Clerici può sembrare sfiduciato. Vorrei vedere voi a cercare di volare fino a una coppa partendo dall’essere pinguini!
Forse il problema risiede da un’altra parte. Forse lo swing di Nishikori è meno efficiente di quello di Murray, di quello di Federer o di Djokovic? Forse il movimento di Kei al fine di imprimere alla palla una velocità e una rotazione tali da poter competere ad alti livelli ha un costo metabolico maggiore? Ipotizziamo che lo abbia, ma non per ragioni di movimento sbagliato, ma a causa della morfologia fisica. Che cosa succederebbe? Anche se questa differenza fosse minima dell’ordine dello 0,5% o dell’1% in ogni swing questo costo in più è probabile che ridurrebbe l’autonomia di gioco del giapponese. Non solo ma l’inefficienza prolungata drenerebbe energie e risorse destinate ad altre funzioni come la concentrazione e lo scatto innescando un processo di decadimento più veloce delle prestazioni del giocatore. La sfiducia potrebbe subentrare ad accelerare tale processo. La realtà non sembra essere molto distante in effetti.
Al contrario se Andy Murray avesse un costo metabolico minore su ogni singolo swing, dovuto a una condizione genetica particolare, questo vantaggio si ripercuoterebbe positivamente su ogni singolo aspetto del suo gioco e potrebbe addirittura mascherare lievi imprecisioni tecniche o sostenerlo nei periodi di minor forma.
Dove sarebbe questo vantaggio? Siamo nel campo delle ipotesi, ovviamente, ma se qualche individuo nascesse con delle ossa più pesanti, non solo a causa della volumetria, ma anche per via di un peso specifico maggiore e la sua struttura muscolare e tendinea fosse proporzionata di conseguenza, tali individui avrebbero dei vantaggi in termini di costo metabolico di un swing? Quanto sarebbe grande questo vantaggio?
Se fra gli uccelli la differenza è fra nuotare e volare, personalmente non ho molti dubbi che meno marcate differenze possano, nello sport del tennis, metterci davanti un Nishikori e un Murray.
Anche per questi motivi non sprecherei molto tempo a cercare di convincere un pinguino a credere che può riuscire a volare.
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