I paradossi e le apparenti incongruenze fanno parte di questo strano mondo in cui viviamo e sono l’evidenza della sua accidentale organizzazione. Frammenti, bizzarrie, ossimori, contraddizioni, incompletezze e incongruenze sono più frequenti del rassicurante ordine a cui la nostra mente piace credere. Il tennis in fondo non è diverso dal resto, non fa eccezione; rientra a pieno diritto nel coas organizzativo di questo universo dove l’eccezione è rappresentata proprio dalla linearità, da forme di coerenza, dall’illusoria perfezione; condizioni rare che si stagliano su tutto il resto, per questo è immediato porvi l’attenzione e non di rado sopravvalutarle.
62, 62, 62, e 36, 76(5), 46, 76(4), 62. Sono le successioni numeriche che sono andato a riguardare, ma ce se sono altre. Apparentemente insignificanti sono l’indice di un talento che ha trovato difficoltà tali da impedirgli di esprimersi con continuità. Prima ancora della consistente esplosione di Novak Djokovic, che al tempo aveva un solo slam all’attivo, di otto mesi più giovane del serbo, Juan Martin Del Potro liquidava prima Nadal in semifinale con il periodico 62, e poi andava a prendersi la coppa dello Us Open vincendo al quinto su Roger Federer. Il tutto nel mese di settembre, del 2009. E’rimasto il suo unico slam all’attivo e dopo sei anni e mezzo, che hanno visto l’esplosione del serbo, il vistoso calo di Nadal, un Federer privo di acuti a livello di major, un Murray fermo alla vittoria di Wimbledon 2013, si può pensare che, in questi anni, sia mancato il favoloso quinto. Del Potro appunto, che, tra l’altro, agevolò proprio la vittoria Olimpica di Murray costringendo Federer a più di quattro ore di gioco il giorno precedente in semifinale.
Commistione di potenza e agilità tra i rettangoli stretti di un campo da tennis, dall’alto del suo metro e novantotto centimetri il gigante di Tandil è stato tradito dalle articolazioni dei polsi che, in un uomo della sua corporatura, si potevano immaginare più robuste. Ma in questo universo dai molteplici aspetti contro intuitivi niente è necessariamente lineare. I Greci si erano inventati un dio, il Fato, per riuscire a comprendere la complessità.
Il polso destro fermò l’argentino nel 2010 facendogli perdere praticamente l’intera stagione, quando rientrò fu il sinistro a cedere.
Il tendine sinistro lesionato non gli ha dato tregua dal 2012 costringendolo a ben tre operazioni non semplici. Dalle prime due non ne uscì in grado di poter tornare a giocare con continuità. L’ultima lo ha consegnato agli occhi degli appassionati in grado di giocare un set alla pari con Berdych a Indian Wells. Si trattava di un secondo turno, ma già l’esserci arrivato è un indice dell’indubbio talento di un giocatore che nell’ultimo anno ha giocato pochissimo e tra maggio 2014 e giugno del 2015 (mese della terza operazione) aveva partecipato a soli 15 tornei.
Si potrebbe ben sperare. In fondo ventotto anni non sono troppi per togliersi qualche soddisfazione atletica e tennistica. Del Potro potrebbe mettere la sua racchetta fra le ruote di qualcuno sulla carta più quotato di lui.
A rigor di logica questo è quello che dovremmo aspettarci fra qualche mese: un Delpo in forma temibile per tutti in grado di rovinare il torneo a un super favorito sin dai primi turni. In classifica è il n. 420 del mondo.
Naturalmente se il fato non si mette ancora di mezzo: cieco, invincibile, figlio del caos. In grado di legare due macigni con una pagliuzza. (950)